TIZIANA D’ACCHILLE
L’immagine chiave della mostra è un grattacielo illuminato nella notte, un elemento architettonico che l’artista ha eletto a simbolo della frenesia lavorativa delle città che non dormono mai, dei nuovi agglomerati dove ogni minuto è dedicato alla produttività e dove lo spazio per la riflessione è ormai azzerato. L’edificio, un volume semplice immerso nel blu petrolio di una notte illuminata dai neon, è anche un muto testimone di una civiltà giunta alle soglie della sua autodistruzione, persa in un mare di segnali discordanti e di voci inascoltate. Al di là di ogni possibile interpretazione del racconto visivo contenuto in queste opere, non va comunque dimenticato che l’interesse primario di Bulzatti risiede nell’essenzialità della figurazione, nel richiamo che prova per ogni situazione visivamente interessante, dal gesto apparentemente banale di un senzatetto che si lava alla postura classicheggiante di una giovane donna. I luoghi e i personaggi descritti da Bulzatti sembrano appartenere a una dimensione superiore e appaiono pertanto cristallizzati nell’assoluto, quasi portati a livello di icone. Sia le figure, sia gli spazi dell’ambiente costruito sono divenuti ormai in queste ultime opere espressioni universali di una condizione contemporanea di ricerca di significato e di anelito verso un modo diverso d’esistenza, in cui l’uomo possa ritrovare uno spazio vivibile, oltre a un rinnovato dialogo e una spiritualità nuovamente coinvolgente. Il grido d’aiuto che Bulzatti trasforma in linguaggio pittorico non evoca inquietudini munchiane o straniamenti nordeuropei: nel descrivere un mondo astratto, privo di connotazioni riconoscibili, identifica personaggi universali all’interno di uno scenario che mantiene, nonostante tutto, un ordine proprio.
Ma l’elemento preponderante di questa mostra, come di tutte le mostre di Bulzatti è proprio l’immortalità della pittura e la sua capacità di adattarsi, forse meglio di ogni altro linguaggio, a descrivere le emozioni profonde.
Le atmosfere metafisiche che attraversano le opere degli inizi continuano a vivere in questi lavori, in cui la figurazione supera magistralmente il dato prettamente fisico, per elevarsi a strumento d’indagine acuminatissimo, che strappa il velo delle apparenze e ci rivela, o almeno ci lascia intravvedere, il filo invisibile che collega i luoghi e le persone testimoni del nostro vivere quotidiano.
“Help” è dunque l’appello per riconquistare un’appartenenza al genere umano, è un’esortazione per il recupero della poesia delle cose minime, è il drammatico richiamo a un ritorno a un mondo a misura d’uomo. Il lungo cammino che la pittura ha percorso accompagnando questa serie di silenziosi e misteriosi personaggi avvolgendoli di una luce calda e vibrante attraverso il labirinto dell’esistenza, ha caratterizzato fin dagli esordi l’arte di Bulzatti che, nel cogliere l’universalità del gesto, delle forme umane, dell’armonia degli oggetti, li ha decontestualizzati e per questo trasposti in un mondo idealizzato e apparentemente lontano dal disordine del movimento convulso.
Se nel tempo i soggetti di Bulzatti sono quindi progressivamente entrati in una logica atemporale, oggi, per contro, assistiamo a un tentativo di inserirli in un discorso più legato al dramma della contemporaneità e all’enorme crisi della civiltà occidentale. È per questo che nell’ultimo decennio la sua attenzione si è rivolta ai mendicanti che sempre più numerosi affollano le metropoli e agli emarginati-asceti che vivono in condizioni di precarietà estrema.
I volti dei personaggi che hanno popolato le sue tele dagli inizi degli anni ottanta a oggi sono ormai divenuti icone del suo personale repertorio iconografico e oggi più che mai incarnano vite silenziose che tornano a turbarci, seppur serene, ma in sembianze diverse, mostrandoci un lato del vivere quotidiano che spesso ignoriamo: la costante e vera solitudine che caratterizza la nostra unicità di esseri umani.
La donna che percorre a piedi nudi la strada deserta di una metropoli avvolta da una luce aurorale è forse l’emblema della feroce spietatezza della contemporaneità: sola e inerme, come tante donne d’oggi, la silenziosa protagonista di questo dipinto affronta la sfida del nuovo giorno con lo sguardo rivolto in avanti, quasi a lasciarsi alle spalle la livida imponenza della città ormai deumanizzata.
Altrove, sempre una donna – molte sono le donne nelle opere in mostra – ascolta questa richiesta di aiuto e offre il suo soccorso alla figura maschile che le è accanto, sintetizzando in un’unica potente immagine disagio e conforto, disperazione e speranza.
Ma a volte anche la capacità di offrire uno sguardo pieno di attenzione può non bastare ed ecco che per meglio vedere forse è necessario diventare non vedenti, avere il coraggio di rifiutare quello che lo streaming ininterrotto del reale ci mette di fronte.
In un mondo ormai dominato dalla tecnocrazia e irrimediabilmente avvitato verso una metatecnocrazia tanto pervasiva quanto soffocante, le opere di Bulzatti dovrebbero essere oggetto di venerazione, icone di un altrove che sopravvive all’erosione progressiva, al deserto esistenziale che avanza e ogni giorno ci toglie un pezzettino, lasciandoci sempre più soli.
Help.
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